L’intervista di Domenico Pepe a C&B Architetti

in occasione della pubblicazione su “Scuole Ecocompatibili - Architettura in dettaglio”
in merito alla mission dello studio e all’ampliamento dell’Asilo nido “Meraviglia” a S. Matteo della Decima (Bo)



1. Quando e come è nato il suo studio? Può descrivere quale fosse, secondo lei, il “clima” culturale di quegli anni e quale solco voleva tracciare con il suo lavoro?
La COSMI&BONASONI si è formalmente costituita solo di recente (2005), anche se tra i componenti preesistevano rapporti stabili di collaborazione. Alla base di tutto una felice sinergia con il collega Bonasoni sperimentata fin dal periodo universitario: è proprio a Ferrara – l’Ateneo vi ospita una delle prime facoltà di Architettura a numero chiuso limitato a 150 iscritti per anno accademico – che abbiamo appreso un modo di “fare architettura” imprescindibile dal “fare tecnologia” e dal “fare struttura”.
2. Come ha ottenuto il suo primo incarico?
Uno dei primi incarichi piuttosto corposi assunti dalla società è stata l’elaborazione di un Piano Particolareggiato affidatoci direttamente da un Committente privato, con cui esisteva un rapporto di conoscenza.
3. C’è stato un incarico in particolare che ha segnato una svolta o una opportunità importante per lo studio?
Stiamo constatando, invero con una certa curiosità, come questo piccolo intervento di ampliamento abbia un’eco apparentemente “sproporzionata” rispetto all’entità quantitativa e rappresentativa dell’opera.
4. Quali sono i percorsi intellettuali o creativi che lo studio segue per sviluppare il progetto? Seguite una sequenza (scaletta, check list o altro) già collaudata/preferenziale nella produzione progettuale? Se si, quale?
Una volta recepite le istanze della Committenza e verificato il quadro normativo, non seguiamo percorsi elaborativi obbligati: ci è piuttosto utile invece consultare “a ruota libera” un nostro archivio di immagini digitali e cartacee riferite ad architetture realizzate: sono tutte opere scelte sulla base delle percezioni e delle sensazioni che producono dentro di noi, e che di fatto vanno a costruire quel “background” culturale assimilato nelle nostre progettazioni.
5. Com’è strutturato oggi il suo studio? Può descrivermi l’organizzazione del team, i compiti degli associati e dei suoi collaboratori?
Stiamo puntando ad un’organizzazione dello studio piuttosto flessibile, basata su una serie di competenze generali condivise, su cui ciascuno tende tuttavia a sviluppare i propri orientamenti: Emanuele Cosmi si occupa prevalentemente delle progettazioni e bioclimatica; Diego Bonasoni si occupa, oltre che delle progettazioni anche delle pratiche amministrative e della Direzione dei lavori; Gabriele Cosmi supervisiona i rapporti con le Committenze, la Direzione dei lavori e la Sicurezza di Cantiere. Collaborano poi in maniera continuativa con lo studio: Vincenzo Cosmi per la progettazione delle strutture, Sara Tagliavini e Clara Berti.
6. Ciclicamente si presenta la necessità culturale dell'annientamento, del “ricominciare da zero”: Dada, Bahuahaus (gropius), Zevi ecc.. E' davvero necessario dover cancellare il passato per creare architettura compiutamente nel presente?
Pensiamo di no: dal passato si impara a fare buona architettura e tecnologia corretta, e tuttavia al futuro si ammicca per scongiurare nel presente ogni edilizia della contingenza e della banalità.
7. Secondo Lei, al giorno d’oggi e per quello che vede in giro, si progetta per creare, per lasciare un segno della propria esistenza, per un ideale o per guadagnare?
La grande maggioranza delle progettazioni che trovano realizzazione risponde esclusivamente al massimo profitto economico; nell’ambito ristretto poi di quei progetti sottratti a questa vera e propria distorsione sociale, appaiono con molta più evidenza quelle architetture disegnate per essere rappresentative di sé ed affermare una individualità chiara: è un’inclinazione comprensibile e credo costitutiva dell’atto creativo stesso. Tuttavia mi sembra possa esistere un terzo modo di progettare: fare buona architettura perché la comunità civile ne ha bisogno come bene primario, come servizio di base non subordinabile a logiche privatistiche di guadagno o tornaconnto
8. Darebbe tre consigli per le giovani leve che vogliano intraprendere oggi la libera professione?
Piuttosto che consigli si tratta memorandum che ci si presentano quotidianamente: studiare approfonditamente il quadro normativo–procedurale che regola gli ambiti operativi dell’edilizia; analizzare e gestire i rapporti interpersonali tra i vari “attori” del processo edilizio (Committenza, Ente pubblico, Impresa, Colleghi ecc.), migliorando la propria capacità diplomatica; mantenere continuamente aperto il processo di ricerca e di elaborazione progettuale, considerando, piuttosto che una sintesi finale unica del progetto – di dettaglio o urbano che sia – un flusso continuo e teoricamente infinito di sintesi provvisorie mai definitive.
9. Come si fa a distinguere una buona architettura da una meno buona: cos’è la “Qualità” in architettura?
Difficile dare una risposta completa ed esaustiva: alla luce delle precedenti considerazioni una buona architettura si identifica con la più recente delle sintesi provvisorie nel flusso dell’elaborazione progettuale; viceversa un’opera meno buona la si percepisce per la sua incompiutezza e l’assenza di sintesi ed armonia.
10. Quale ruolo ha la “massa” nel giudicare un’opera: perché i nuovi “quartieri” per il commercio, gli outlet, sono così tanto apprezzati dall’ uomo comune?
La “massa” è al tempo stesso vittima e artefice dell’attuale degrado architettonico governato dalla logica di profitto: vittima perché ne è lei stessa inconsapevolmente impoverita, carnefice perché definisce i criteri morfologici e tecnologici del prodotto edilizio. Soluzioni? Costruire un’alfabetizzazione architettonica fin dalle scuole primarie.
11. Come si pone lo studio rispetto alle problematiche ambientali?
Ogni costruzione è organismo edilizio pulsante all’interno del suo ambiente: l’ambiente è criterio progettuale dell’architettura a tutti i livelli: ne condiziona le scelte tecnologiche, ne definisce i requisiti strutturali, ne determina il comportamento energetico e – non ultimo –ne ispira la composizione formale.
12. Cosa ne pensa delle molte correnti architettoniche che affollano il panorama della sostenibilità ambientale in architettura?
Penso che costituiscano approfondimenti di aspetti diversi, tutti degni di analisi ma nessuno assoluto rispetto all’altro, che trovano la loro sintesi nel concetto della costruzione come organismo edilizio vivente.
13. Qual’è stata l’origine dell’idea del progetto e come si è successivamente sviluppato?
La suggestione iniziale era quella di trasformare una zona dell’edificio esistente caratterizzata da un basso livello di qualità funzionale in uno spazio nuovo e bello da vivere; con tale obiettivo si è progettato un nuovo corpo edilizio capace mettere in stretta relazione l’ambiente interno con il contesto esterno, costituito dalla campagna da un lato e dal giardino d’inverno dall’altro.
14. Mi illustrerebbe il rapporto del progetto con il tema della compatibilità ambientale?
Anzitutto si è pensato ad un corpo edilizio il più possibile relazionato e dialogante con il suo intorno ambientale; poi la struttura stessa è stata progettata con tecnologia semi–prefabbricata sostanzialmente a secco e pertanto, almeno in linea teorica, perfettamente removibile; infine la scelta di materiali naturali come il legno, ha permesso da un lato di conservare un alto grado di compatibilià ambientale, dall’altro di ottenere ottime prestazioni nel contenimento dei consumi energetici.
15. Quali sono le installazioni tecniche e gli espedienti architettonici che aiutano la compatibilità ambientale?
Innanzitutto la progettazione delle coibentazioni sul lato esterno delle chiusure verticali ed orizzontali (a “cappotto”) garantiscono il corretto comportamento termoigrometrico della costruzione, poi l’utilizzo di infissi basso emissivi ad alte prestazioni permettono di aumentare il livello di omogeneità dell’involucro; in realtà lo stesso sistema costruttivo a pannelli multistrato di legno abbassa drasticamente l’impatto ambientale dell’intervento sia dal punto di vista produttivo che cantieristico.
16. Analizzando il rapporto dell’intervento con l’intorno; il territorio circostante trarrà dei benefici da questo intervento?
L’intervento in oggetto è in realtà molto limitato (c.ca 67mq lordi) e pertanto poco può incidere sul territorio circostante; ci si attende piuttosto, in rapporto al carattere sperimentale del sistema costruttivo, che tale ricerca possa avere un qualche eco nelle future progettazioni di opere pubbliche del Comune committente.
17. Come immagina il rapporto degli utenti con lo spazio progettato?
Abbiamo notizie dirette che la qualità dello spazio, sia pure molto semplice, viene apprezzata dall’utenza adulta e non.
COMUNICAZIONE

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